A volte le scelte più coraggiose nascono da un atto di resistenza: restare. È da qui che parte la storia di Ecofactory, piccola realtà familiare con sede a Modica, che dal 2016 unisce creatività, artigianato e impegno ambientale. In questa intervista a Francesco Ragusa, fondatore di Ecofactory, scopriamo il percorso che dalle prime candele artigianali al progetto Buatta li ha portati fino alle piantumazioni internazionali e all’adozione di alveari.
Ecofactory racconta un modo diverso di fare impresa: lento, relazionale, profondamente radicato nella natura.

In occasione della tappa IT.A.CÀ Ravenna e il Borgo Brisighella [4–5 e 11 – 12 ottobre 2025], Ecofactory porterà cartoline a tema api, personalizzate con la grafica del festival, come simbolo di cura, promessa e memoria condivisa.
Ciao Francesco, che piacere conoscerti! Partiamo dall’inizio: come è nata Ecofactory e quale sogno c’era dietro alla scelta di restare a Modica e intraprendere questa avventura?
Ecofactory è nata nel 2016 a Modica in provincia di Ragusa (Sicilia), in uno spazio fisico e simbolico che avevamo già dentro da tempo. Era il desiderio di costruire qualcosa di nostro, che ci somigliasse, che potesse raccontare un modo diverso di lavorare e di stare al mondo. Restare qui, a Modica, non è stata una scelta romantica ma una presa di posizione. In un’epoca in cui tutto sembra spingerti ad andare via, noi abbiamo deciso di restare, di radicarci, di far crescere un progetto a misura d’uomo, a misura di territorio.
Il sogno era – ed è tuttora – quello di dimostrare che la bellezza può nascere anche nei luoghi considerati “ai margini”, e che proprio questi luoghi hanno in sé una forza creativa enorme. Ecofactory è nata da un primo oggetto, un vasetto chiamato Buatta, che già allora portava con sé la volontà di unire cura artigianale e immaginazione, passato e futuro. Da lì in poi, ogni passaggio è stato naturale: ogni scelta è venuta fuori dal desiderio di mantenere questa coerenza, di fare impresa senza snaturarci.

Buatta, un kit in vasetto per far nascere e crescere una pianta
Ecofactory è una realtà familiare che ha scelto di rimanere “piccola” per custodire autenticità e cura dei dettagli. Cosa significa per voi essere un’impresa a dimensione umana?
Significa che prima di tutto vengono le relazioni. Le relazioni tra di noi, che siamo una famiglia non solo per legami di sangue ma per una scelta quotidiana di camminare insieme. Le relazioni con chi lavora con noi, con chi sceglie i nostri prodotti, con chi ci ospita nelle proprie case. Essere un’impresa a dimensione umana vuol dire che ogni decisione è frutto di un dialogo.
Non abbiamo reparti, non abbiamo compartimenti stagni. Ogni candela, ogni kit, ogni confezione nasce da un incastro di mani e di pensieri. E poi c’è la lentezza, che non è inefficienza ma possibilità.
Prenderci il tempo giusto per fare le cose bene ci permette di mettere amore in ogni dettaglio, e questo arriva alle persone. Non è solo una questione estetica, ma di senso. Restare piccoli non è limitarsi: è custodire uno spazio in cui il valore non si misura in numeri, ma in qualità di scambi, in emozioni, in impatto.
Dai vostri prodotti traspare sempre una forte connessione con la natura. Ci racconti come siete passati dal primo vasetto Buatta alla rete internazionale di piantumazioni di alberi?
La natura è sempre stata il punto di partenza e di ritorno di tutto quello che facciamo. Non è mai stata solo un’ispirazione estetica, ma una vera maestra. Fin dall’inizio ci siamo chiesti quale fosse il senso di creare se non accompagnato da un impegno concreto verso il pianeta. Così, nel 2019, abbiamo scelto di collaborare con associazioni internazionali che si occupano della piantumazione di alberi in aree a rischio climatico e ambientale. È stato un modo per uscire dai confini del nostro laboratorio e lasciare un segno positivo nel mondo, anche se piccolo.
Da allora, grazie a queste collaborazioni, sono stati piantati migliaia di alberi in varie parti del mondo: dal Sud America all’Asia, dall’Africa a progetti europei, contribuendo a riforestare territori fragili e creare nuove opportunità per le comunità locali. Oltre a questi progetti internazionali, abbiamo voluto anche radicare simbolicamente la nostra presenza in Italia, dando vita a piccoli boschetti di Ecofactory nati a Roma, spazi che raccontano un impegno che mette radici, letteralmente, anche nel nostro paese.

Judith, una delle maestre in Uganda che è la responsabile di alcuni progetti di piantumazione sostenuti da Ecofactory
Negli ultimi anni avete scelto anche di “adottare” delle api. Cosa vi ha spinto a farlo e che valore hanno le api nel vostro percorso?
Le api sono uno degli esempi più puri di armonia tra individuo e comunità, tra lavoro e natura. Osservarle ci ha insegnato tanto: il senso del limite, la bellezza del fare silenzioso, la forza della cooperazione. Quando abbiamo deciso di adottare alveari insieme a piccoli apicoltori di Modica e del Veneto, l’abbiamo fatto per restituire un po’ di quella meraviglia da cui ogni giorno traiamo ispirazione.
Adottare api non è solo un gesto ecologico, è una dichiarazione d’amore. Ogni volta che raccontiamo questo progetto, vediamo le persone emozionarsi. Perché le api non sono solo insetti: sono simbolo di equilibrio, di fragilità e di resistenza. In un certo senso, sono anche lo specchio del nostro modo di fare impresa: piccoli, determinati, interconnessi.
A Ravenna e a Brisighella vi incontreremo con le cartoline a tema api, personalizzate per IT.A.CÀ. Cosa vi piacerebbe che il pubblico portasse a casa con sé da questa collaborazione?
Vorremmo che chi riceve una di queste cartoline la sentisse come una promessa. Una promessa verso se stessi, verso la Terra, verso il futuro. Le api che raccontiamo non sono solo un progetto: sono un invito a rallentare, ad ascoltare, a prendersi cura. Ci piacerebbe che le persone portassero a casa non solo un ricordo, ma una domanda: “Cosa posso fare io per custodire ciò che conta?”
Il Festival IT.A.CÀ ci dà l’opportunità di intrecciare il nostro racconto con quello di tante altre realtà che, come noi, credono nella bellezza delle piccole cose. La cartolina è il nostro modo per contribuire a questa narrazione collettiva: un oggetto semplice, ma pieno di senso, che speriamo accenda conversazioni, sorrisi, pensieri.
Il tema del festival di quest’anno è “Custodire il futuro. Dalle scelte di oggi il volto di domani”. Che significato ha per voi questa espressioni?
Custodire il futuro significa smettere di pensare che il futuro sia qualcosa da rincorrere e iniziare a viverlo nel presente. Significa fare oggi scelte che abbiano un peso domani. Non serve essere perfetti, ma presenti. Ogni gesto, ogni decisione, può essere un atto di cura. Per noi, custodire il futuro è scegliere fornitori locali anche quando è più complicato, è non cedere alla logica della produzione di massa, è fare un passo indietro quando serve per restare fedeli ai nostri valori.
È anche fidarsi della bellezza che nasce quando si costruisce insieme.
Come con questa collaborazione, che per noi è un’occasione per seminare nuove relazioni. Perché custodire il futuro non è un atto solitario, ma una responsabilità collettiva. E solo insieme possiamo renderlo un luogo davvero abitabile.

Le attività a Roma: una foto del boschetto di Ecofactory, gli amici di Alberi in Periferia e il presidente Mattarella che riceve il simbolo di Alberi in Periferia
Dalle radici in Sicilia a una rete di progetti che toccano il mondo, la storia di Francesco e di Ecofactory dimostra che le piccole realtà possono custodire il futuro con gesti concreti e quotidiani.
La loro partecipazione a IT.A.CÀ è un invito a scegliere relazioni, natura e comunità come bussola per i nostri viaggi e le nostre vite.
Blog IT.A.CÀ
Sara Stellacci
Comunicazione IT.A.CÀ Festival
Facebook | Instagram |







Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Fornisci il tuo contributo!