Cari amici viaggiatori e care amiche viaggiatrici, oggi facciamo tappa a Gagliano Aterno, in provincia dell’Aquila, per la nostra tappa abruzzese, che chiude la 17° edizione 2025 di IT.A.CÀ Festival. Sabato 15 novembre, avremo il piacere di ospitare Barbara Carraro, ricercatrice in antropologia culturale ed etnologia, e Arduino Catini, ricercatore in antropologia culturale, del sacro, del corpo e d’azione, che ci accompagneranno alla scoperta del loro lavoro trittico “Il respiro di Banaras” – un viaggio nella profonda India spirituale. Oggi sono con noi nel blog per un’intervista esclusiva, in cui ci racconteranno la loro esperienza artistica e spirituale, tra ricerca, viaggio e trasformazione interiore.
“Attraversamento” come stile di vita. Il vostro blog pone l’accento sul fatto che «la vita a nessuno è data in proprietà ma a tutti in uso e che forse ha senso solo nella misura in cui la condividiamo». Nel vostro libro Il respiro di Banaras raccontate un contesto molto diverso ma forse affine: come avete vissuto voi personalmente l’idea dell’“uso” della vita (e del viaggio) e come questa visione si riflette nella vostra scrittura e nelle pratiche che proponete?
Con “uso della vita” (del viaggio e della ricerca, in generale delle esperienze e dei vissuti) intendiamo evidenziare che in quanto esseri umani non abbiamo in proprietà la vita, abbiamo tuttavia la possibilità di viverla pienamente, cioè consapevolmente goderne, gioire, piangere, soffrire, emozionarci, conoscere, scoprire. Di fatto non possediamo mai nulla, piuttosto si tratta sempre di accogliere, di dare il benvenuto a ciò che si presenta. Siamo tutti quanti indirizzati, sin da quando il corpo viene concepito o emerge, a lasciare tutto ciò che crediamo di avere, la nostra casa, famiglia, amici, possedimenti, tutto vive, viene e va.

Arduino Cattini & Barbara Carraro
Questa che potrebbe apparire come un’insuperabile intrinseca fragilità, irrimediabile transitorietà in quanto assoluta impermanenza della vita biografica (cui siamo fortemente legati, attaccati), trova invece un senso profondo di grande meraviglia, agio, armonia, gioia vivendo (dunque abitando) umanamente il mondo o, come direbbe Christian Bobin, quando lo viviamo poeticamente, che in fondo è la stessa cosa.
Condividendo, dunque, ci riscopriamo umani, ci riscopriamo in relazione, meglio ancora: ci scopriamo essere relazione, quindi non tanto parte del mondo e della natura bensì mondo e natura in Se, in Essere, non amministratori, gestori, governatori, organizzatori, ecc. soprattutto non proprietari. Da qui, da questa scintilla del cuore, si desta un ricordo che si fa presente e presenza: il partire per il viaggio della vita, per il cammino del mondo.

C’è questa meravigliosa parola sanscrita hridaya che si può restituire con “relato al cuore-centro, dell’esperienza, della conoscenza, dell’essere e di essere…” Questa visione è parte integrante della scrittura di “Il respiro di Banaras” infatti: «Il testo è un lavoro a quattro mani, un corpo unico, esito di scambi e di confronti che confluiscono nella scrittura. Un noialtri che scrive frutto di un’interazione peraltro non sempre lineare fra i due autori, un noialtri ambito fondante di questo progetto ed esso stesso argomento d’indagine». Così pure di Gagliano Aterno si può dire che è stato e continua a essere un lavoro a tante mani, bindu e bandu, (ancora dal sanscrito) punto, inizio, origine, connessione, relazione, collegamenti…che definiscono e fanno il mondo, dal piccolo al grande, dal grande al piccolo, “comunità e singolo” che sono uno nella varietà.
L’incontro con Banaras e l’altro spazio culturale. Nel titolo del libro compare Banaras (o Varanasi), città che evoca attraversamento culturale, sacro, confine tra vita/morte, tradizione e contemporaneità. Come è avvenuto per voi l’incontro con Banaras, cosa ha “attraversato” dentro di voi — e in che modo quel viaggio ha modificato la vostra idea di “traiettorie” raccontate nel blog?
La presenza di innumerevoli armonie e anche di dilaganti contraddizioni, di inarrestabili modernità e irremovibili tradizioni (che vitali e vivaci sembra abbiano il potere di ingurgitare futuri invadenti per rifarsi sempre nuove, proprio dal nuovo nutrite), la visione delle pire funerarie, la contemplazione dei corpi arsi dal fuoco nei campi crematori, l’incontro con ciarlatani che arrangiano la vita o maestri veri e misteriosi, oscuri, oppure fonti di insegnamenti luminosi, tutto questo è certamente incontrare Banaras.

Comprendere che quei corpi sono anche i nostri corpi, che quel fuoco sta già bruciando dentro ognuno di noi e che quella combustione genera superamento. Banaras poi è anche molto altro, appunto perché la visione del bello e della morte è così sfacciata, aperta, che Banaras è brulicante vita, pura contraddizione, senza necessità di coerenza, assoluto stridore dell’esistere, turbamento e meraviglia, ricchezza e povertà, un’economia lanciata verso una ricchezza diffusa e una povertà sempre cangiante. La permanenza a Banaras (con tutte le vicissitudini che abbiamo vissuto, soprattutto durante il periodo della carcerazione civile totale – 24h- durante il covid, con i 50° di giorno e i 37-40° di notte su quel tetto affaccio alla dea Ganga, al Gange) hanno rafforzato la consapevolezza che ci sono tele imperscrutabili della vita: linee e traiettorie che attendono di essere vissute, lette e raccontate. Che mai nulla è come forse appare, che le cose bisogna viverle, ancora: che siamo comunque relazione, tale è il nutrimento che chiamiamo vita, una luminosa apertura, dare il benvenuto.
Educazione, comunità e responsabilità ambientale. Dato che voi operate anche in ambiti educativi, familiari, di comunità (mi riferisco al vostro lavoro attorno al festival, attività per ragazzi etc), in che modo le esperienze raccolte nel blog e nel libro diventano strumenti o spunti per educare – sia giovani che adulti – a un approccio più lento, consapevole e rispettoso verso i luoghi e le culture che attraversiamo?
Vorremmo innanzitutto restituire la nostra esperienza nel mondo e nell’attraversamento degli insegnamenti ricevuti dalla vita e dai vari maestri incontrati (a volte sapori dolci e gustosi, altre volte duri e amari), non crediamo di poter indicare o seminare né vie né spunti, siamo tutti in cammino e, se di educazione si può parlare, questa (ci pare) non possa passare che attraverso una relazione condivisa, reciproca, di scambio, condivisione, rispetto, ascolto: un rapporto in cui viene stimolata la scoperta ma è concessa la caduta, evitando quella tensione o quella tentazione alla iper protezione che taglia, castra, impedisce l’esperienza e l’assaporamento, indicando si le necessarie cure e attenzioni, ma non alimentando le paure, né stigmatizzando gli eventuali inciampi. Sarebbe necessario comprendere, cosa non semplice crediamo noi, che la vita, proprio perché una, si dipana e si dispiega in attitudini, vissuti e possibilità diverse in ognuno, traiettorie che spesso non coincidono affatto con le proiezioni o le aspettative del genitore, dell’educatore, dell’amico o del parente, né tanto meno con le nostre ecc.

E’ necessario, ci pare, rispettare e sostenere i momenti di pausa, di gioia profonda e intima, gli ascolti e i silenzi così come le allegrie, quelle semplici, sostenere i talenti, custodire la meraviglia e lo stupore, soprattutto per ciò che si ritiene diverso, altro. Ritrovarci in situazioni lontane dalla cosiddetta confort zone , ad esempio, permette di osservarci, non per misurarci e giudicarci, ma per scoprirci in qualcosa di nuovo, in un’apertura all’altro e all’altero, a cui non imponiamo abitudini, schemi mentali, sociali o culturali. Ci sembra utile e pedagogico Tucci nel suo scrivere «ho sempre preferito piuttosto comprendere, cioè amare, anziché conoscere»(Tucci 2017, p. 26), se ne potrebbe fare un feritile terreno e indirizzo educativo.
Parteciperete alla nostra Tappa IT.A.CÀ Gagliano Aterno 2025 che cosa vi aspettate da questa esperienza e perché avete deciso di partecipare al nostro progetto nazionale?
Abbiamo avuto il gradito piacere umano e professionale di collaborare con Giovanni Giacchi, Enrico Cherchi e poi IT.A.CÀ in un momento in cui nulla aspettavamo e nulla cercavamo… poi al bar l’incontro: si è parlato un po’, Giovanni ed Enrico ci hanno raccontato di come il tema nazionale di questa 17° edizione 2025 del festival fosse “Custodire il futuro”, abbiamo sorriso e raccontato di come il “custodire il futuro” in alcune culture tradizionali nel mondo o tradizioni culturali (popolari e non) fosse “essere presenza”, dunque essere completamente, totalmente, pienamente presente, presentificare… e di come vi fosse un luogo, un paese in Abruzzo – Gagliano Aterno – in cui il futuro era stato fatto presente e il presente si fosse fatto azione operosa e condivisa, riuscita e ottenimento… e di come Giorgio Agamben (citando Flajano) avesse, un giorno a Torino, meravigliosamente insegnato “io non mi fido dei progetti per il futuro, faccio progetti solo per il passato”.
La presenza, il presente, il custodire, la ricerca (che sia interiore che sia nel mondo, che separazione non c’è) e il “futuro” che si fa presente, sono ambiti, meglio dimensioni, che da sempre ci accompagnano e con cui proviamo a dialogare. Nulla ci aspettiamo, siamo grati per questi incontri, così pieni, così vivi, così vitali… e poi chi visse aspettando (che è sempre uno “sperando”) morì come nel ritornello della bella canzone dei Litfiba, Gioconda.
Il tema del festival IT.A.CÀ di quest’anno, “Custodire il Futuro – dalle scelte di oggi, il volto del domani” invita a riflettere su come le nostre scelte attuali possano plasmare il futuro. Come pensate che il vostro lavoro possa contribuire a promuovere un turismo più sostenibile e responsabile?
Il respiro di Banaras nasce da un’esperienza reale, fisica, materiale (carne e sangue si potrebbe dire) e da una riflessione prolungata e necessaria, potremmo dire quasi meditativa, su quanto accaduto durante i nostri due campi in India (nel 2018 e nel 2020) e a livello globale nella relazione fra i cosiddetti “noi” e gli “altri”, le cosiddette normalità e l’alterità, la quotidianità e l’eccezionalità, sostenibilità e responsabilità delle e nelle scelte. È il frutto, cioè, di un’immersione profonda in un vissuto e di una rielaborazione altrettanto lenta, confluiti in una serie di racconti etnografici e di vita reale.

I tre libri che fanno parte della trilogia “Il respiro di Banaras”
È un’opera che si pone, sin da subito e in ogni suo aspetto, al di fuori degli schemi abituali di produzione e commercializzazione, il tentativo è quello di frequentare i domini di un’ecologia profonda. È un lavoro che parte da una inevitabile presenza al presente, una sorta di inevitabile attualizzazione delle scelte, soprattutto di quelle che tendono al custodire l’essenziale e al lasciar andare il superfluo, la zavorra. Diversamente quello che chiamiamo futuro (o meglio: che ci hanno insegnato a chiamare futuro) rischia di divenire ingannevole speranza, sistema di potere e sfruttamento, mentre l’attenzione al presente, l’ascolto aperto e la conseguente azione diretta, concreta, spontanea (ma non istintiva) determinano azioni benefiche, servizio, utilità, efficacia, riuscite condivise e collettive, umanità, essere e sentirsi pienamente natura e spontanea appartenenza al tempo stesso.
Dunque i temi trattati dal libro, l’essere attraversato dagli insegnamenti ricevuti, il dialogo tra questi, il vissuto sociale e umano del quotidiano con la riflessione antropologica occidentale (passando per i racconti e le storie di vita, compresa la nostra vicenda di ricercatori a un certo punto sorpresi, con le spalle al muro) rendono Il respiro di Banaras un’opera indirizzata alla vicenda umana al di là di etichette e categorie, alla natura che è Grande Madre, custode innanzitutto ma anche da custodire affinché si prenda cura ancora di questa umanità… poi una fruizione ampia e appassionata del libro, dato il linguaggio narrativo e poetico seppur sostanziato dalla necessaria, doverosa scientificità (così ci dicono i lettori delle diverse provenienze, che hanno recensito il trittico nel blog dedicato [QUI] o che, sin ora, hanno partecipato alle presentazioni, alle condivisioni, ai racconti dialogati, alle letture partecipate ecc.) lo rendono strumento utile allo sguardo.
- sito web > attraversamenti.blog
- profiloIG > attraversamenti.inconsueti
- profiloFB > attraversamenti inconsueti
Ringraziamo Arduino e Barbara per l’intervista e non resta che dirvi buon viaggio e buona lettura 🙂
Blog IT.A.CÀ
Sonia Bregoli
Responsabile Rete Nazionale
Responsabile Comunicazione Nazionale

Sonia Bregoli






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