Se una cosa che l’uomo ha sempre fatto è viaggiare. Forse sperando che lontano da sé, in un altro posto o in un altro tempo, ci fosse la chiave che apriva la porta di tutti i segreti, ogni tanto qualcuno, a rischio di tutto, si è messo in cammino a cercare. Per questo in ogni civiltà c’è il mito del viaggiatore-eroe; il figlio degli dei che si perde e torna, prodigo, dopo un lungo peregrinare; Gilgamesh, il re sumero che viaggia e viaggia per non morire; Ulisse determinato ad andare oltre le colonne d’Ercole, il limite ultimo del mondo conosciuto. Il viaggio poi è sempre stato considerato un mezzo di crescita spirituale, come se muovere il corpo contribuisse a elevare l’anima. Lo testimoniano i pellegrini verso Santiago o la Mecca, e i sadhu indiani, i santi mendicanti, che debbono essere come l’acqua: muoversi in continuazione, altrimenti stagnano. Il detto “partire è un po’ morire” si comprende meglio se si considera che la radice dell’inglese travel e del francese travail è la stessa dell’italico travaglio, cioè patimento, dolore, fatica. Come sanno bene quanti si avventurano a varcare i confini senza documenti.
Di certo, in un’epoca in cui il viaggio è sinonimo di svago, spensieratezza, relax, il richiamo etimologico può suonare bizzarro, eppure una volta viaggiare significava soffrire; mentre oggi la voglia di viaggiare incarna valenze diverse e complementari rispetto alla nostra routine quotidiana: una parentesi ludica, una ricreazione indispensabile per smaltire le fatiche del lavoro. Frutto della doppia morale sottesa alla dimensione turistica. Se nella nostra routine quotidiana vige l’imperativo di un’etica puritana e produttivista, in sintonia con una morale borghese (lavoro, casa e famiglia), entrati nella dimensione della vacanza sperimentiamo invece una seconda morale, separata dalla prima, che può aver luogo solo fuori dal contesto della propria vita ordinaria, per non mettere in pericolo la propria reputazione e, con essa, il proprio stile di vita e la stessa società che lo rende possibile. Un “diritto allo svago” e alla trasgressione che assume la funzione di valvola di sfogo, rendendo possibile la continuità del modello borghese anche quando si affievolisce l’originaria tensione etica.
Eppure, ogni volta che preparo la valigia, penso che dovrei lasciare me stesso a casa e al contempo indossare i panni umili del curioso viandante, aperti gli occhi e il cuore, in cerca di qualcosa da imparare, una lingua da scoprire, come fossi un pellegrino diretto a Itaca. «Quando ti metterai in viaggio per Itaca devi augurarti che la strada sia lunga, fertile in avventure e in esperienze», recita un verso di Kavafis, che abbiam adottato come faro per un festival che promuove il turismo responsabile IT.A.CÁ migranti e viaggiatori: Festival del Turismo Responsabile. Itaca appunto. Anzi, IT.A.CÁ, che in dialetto bolognese significa “sei a casa?”, perché il viaggio responsabile parte da casa e arriva a casa, una qualsiasi casa, una qualsiasi Itaca da raggiungere, dove più che la meta conta il percorso e il modo in cui ci si mette in cammino.
Ma partiam dal principio. Dal fatto che, come me, nel mondo una persona su sei realizza un viaggio a scopo turistico fuori dal proprio paese. Ogni anno. Oppure dalla considerazione che il turismo rappresenta uno dei principali settori dell’economia mondiale, nonchè un’importante opportunità di sviluppo anche per i paesi più svantaggiati, e che la crescita di quest’industria “leggera” ha provocato anche impatti “pesanti” su economie, culture, società e ambiente. O ancora dal fatto che la progressiva presa di coscienza dei limiti sociali e ambientali dello sviluppo (turistico e non solo) ha portato all’elaborazione e alla sperimentazione di modelli alternativi che valorizzano le potenzialità del turismo responsabile per lo sviluppo sostenibile, coinvolgendo istituzioni, operatori economici, turisti e comunità locali. A partire dagli anni ‘70, è infatti nata una riflessione critica sullo sviluppo del turismo tradizionale di massa che si è intersecata con quella globale sulla sostenibilità e, in seguito, con gli obiettivi di sviluppo e riduzione della povertà adottati dalle Nazioni Unite per il nuovo millennio. Se già il 1967 viene dichiarato “Anno internazionale del turismo” dall’Organizzazione Mondiale del Turismo (OMT), è in seguito alla definizione di “sviluppo sostenibile” proposta dal Rapporto Brundtland nel 1987 che il turismo si delinea come un terreno fertile per l’applicazione del modello della sostenibilità, rappresentando sia un’opportunità per il settore che una risposta coerente alle nuove esigenze di sviluppo mondiale. Anche in seguito alle pressioni di associazioni, Ong, movimenti ambientalisti che in quegli anni già ponevano all’attenzione dell’opinione pubblica e dei dibattiti internazionali la necessità di promuovere e praticare un turismo meno dannoso, nel 1988 l’OMT definisce per la prima volta il concetto di “turismo sostenibile”, come forma di viaggio capace di soddisfare le esigenze dei turisti e delle regioni ospitanti salvaguardando le opportunità per il futuro. La Carta di Lanzarote e l’Agenda 21 contribuiscono ad ufficializzare il paradigma del turismo responsabile, fondato sui pilastri dell’equità sociale, economica ed ambientale. Il Codice Mondiale di Etica del Turismo promosso dall’OMT nel 1999 richiama a non sfruttare indiscriminatamente, in nome dello sviluppo e della produzione senza limiti e senza regole, le risorse non rinnovabili del nostro pianeta. Indicazione ancora più importante per il turismo che per altri settori, dal momento che proprio le risorse naturali, culturali e sociali costituiscono la fonte di attrazione e di valore delle destinazioni turistiche.
Considerati i trend da oltre mezzo secolo in rapida e continua crescita (dai 25 milioni degli anni ’50 i viaggiatori hanno superato oggi quota 900 milioni), è chiaro che il turismo rappresenta una possibilità di crescita socioeconomica reale per i paesi meta dei flussi. A patto, però, che i rapporti commerciali vengano stretti con strutture legate al territorio e alle comunità locali, piuttosto che con le poche multinazionali del Nord del mondo. Idea sancita dalle Nazioni Unite nel 2002, in occasione del Vertice Mondiale sullo Sviluppo Sostenibile di Johannesburg. In questa sede il turismo è stato infatti incluso nell’elenco delle attività che, se svolte sulla base di particolari criteri, possono innescare quei processi di crescita economica capaci di coinvolgere i soggetti svantaggiati della società. Emblematico, da questo punto di vista, è il programma ST-EP (Sustainable Tourism – Eliminating Poverty), promosso dall’OMT, in collaborazione con l’agenzia UNCTAD (United Nations Conference on Trade and Development) delle Nazioni Unite.
Ma di cosa parliamo quando definiamo il nostro viaggiare responsabile e/o sostenibile?
L’Associazione Italiana di Turismo Responsabile (AITR) lo definisce come «il turismo attuato secondo principi di giustizia sociale ed economica e nel pieno rispetto dell’ambiente e delle culture. Il turismo responsabile riconosce la centralità della comunità locale ospitante e il suo diritto ad essere protagonista nello sviluppo turistico sostenibile e socialmente responsabile del proprio territorio. Opera favorendo la positiva interazione tra industria del turismo, comunità locali e viaggiatori». AITR condivide con noi la convinzione che, come appare anche dalla posizione dell’Unione Europea, il turismo responsabile non è un settore, ma è quel che dovrà diventare tutto il turismo. Ciò significa che un viaggio di turismo responsabile non è solo una forma di viaggio organizzato, quanto piuttosto un diverso atteggiamento nei confronti del viaggio, un altro sguardo sul mondo, fondato su valori che il turista deve far propri e applicare in tutte le circostanze.
Da queste considerazioni nasce IT.A.CÁ, festival del turismo responsabile. Dall’esigenza di promuovere una nuova etica del turismo, che sensibilizzi la forma mentis delle istituzioni come dei viaggiatori, dell’industria turistica come degli operatori impegnati sul campo. IT.A.CÁ nasce dall’idea che l’esotismo è dietro l’angolo, che per sentirsi turisti responsabili non serve partecipare a lunghi viaggi organizzati: anche il viaggiatore fai-da-te, che non ama gli itinerari prefissati, che si sente limitato dal gruppo e dai tempi stabiliti, può interiorizzare i valori del rispetto e del confronto. D’altra parte il turismo è quotidiano: in quanto esperienza e tensione verso l’altrove, il turismo non si riduce a un periodo preciso di mobilità. Come recita Kapuscinski: «Un viaggio non inizia nel momento in cui partiamo né finisce nel momento in cui raggiungiamo la meta. In realtà comincia molto prima e non finisce mai, dato che il nastro dei ricordi continua a scorrerci dentro anche dopo che ci siamo fermati. E’ il virus del viaggio, malattia sostanzialmente incurabile». E’ come vivere in un’immobilità sospesa fra due viaggi, mescolando diversi mondi.
Chi ha viaggiato, dopo aver tentato di esser indigeno presso l’altro, diventa turista a casa propria, in una volontà di sdoppiamento che arriva fino alla rivendicazione di un’inversione di ruolo.
IT.A.CÁ, nasce dall’esigenza di sensibilizzare la cittadinanza sulle tematiche dello sviluppo sostenibile e promuovere il tema della solidarietà, responsabilità e giustizia attraverso il turismo. I diversi eventi che animano la manifestazione, giunta alla sua quarta edizione, sono pensati come momenti d’incontro e confronto per riflettere in chiave critica sul concetto di viaggio, sulle migrazioni come fenomeno globale, sulle disuguaglianze nord-sud. Il rispetto nei confronti di ogni luogo visitato possono rafforzare la motivazione a fare della propria comunità un luogo migliore e concorrere a ricostruire un benessere sociale che si autoalimenta a partire da noi stessi, dalle nostre azioni quotidiane, per arrivare all’altro e con l’altro innescare un circolo virtuoso volto alla valorizzazione dei beni comuni e alla condivisione di una felicità collettiva. Offrire l’opportunità di sperimentare un modo di viaggiare diverso può contribuire a definire un sistema virtuoso sulla qualità della vita dei cittadini anche sul proprio territorio.
Il Festival vuole infatti essere la spinta propulsiva che concretizza, valorizza e rafforza gli ideali di giustizia sociale e cooperazione, mettendo in rete le diverse realtà che si occupano di viaggi responsabili, per coinvolgere le persone in un’esperienza multisensoriale. Attraverso visite guidate volte a valorizzare il patrimonio culturale e storico del territorio, dibattiti e incontri con esperti del settore, presentazione di libri, bar camp, seminari, pranzi a Km0 e cene esperienziali, concorsi di scrittura, illustrazione e fotografia, mostre, concerti, proiezioni video, teatro, Itacà mira a creare eventi e momenti d’incontro e condivisione volti a coinvolgere i cittadini, riflettendo sull’idea del viaggio non solo come semplice vacanza, trasgressione, svago, ma come un’esperienza dove si possa trovare la sfida, il rischio, il desiderio di conoscenza e scoperta del mondo vicino e lontano da casa. Perché il viaggio responsabile parte da casa e arriva a casa. Itacà appunto, che quest’anno vi aspetta a Bologna e dintorni dal 27 maggio al 03 giugno. Per viaggiare insieme, meglio se a piedi.
Pierluigi Musarò
(Docente Università di Bologna)
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