La strage di Lampedusa non è una fatalità.

IT.A.CÀ è un festival che parla di Turismo Responsabile, ma spesso ci siamo occupati anche di coloro che sono obbligati a viaggiare: chi per lavoro, chi per costrizioni politiche, chi per rimanere vivo, chi semplicemente per trovare condizioni di vita migliori! Di conseguenza non possiamo rimanere impassibili di fronte ai fatti che stanno accadendo nel Mediterraneo e che ci coinvolgono tutti quanti.

Ecco che anche noi di IT.A.CÀ lanciamo e siamo a favore di questa campagna di sensibilizzazione: APPELLO PER UN’ APERTURA DI UN CANALE UMANITARIO!

La strage di Lampedusa non è una fatalità

É piuttosto il frutto di politiche migratorie restrittive e repressive che l’Europa e l’Italia mettono in campo dall’inizio degli anni ’90. L’ospitalità, la Xenia dell’antica Grecia – rituale che conserva una radice comune in molte lingue del Mediterraneo – si è trasformata in xenofobia, paura e avversione per lo straniero.

Quel Mediterraneo che Fernand Braudel ha descritto come mare nostrum, aiutandoci a capire quanto abbia fatto la fortuna degli Antichi Romani, delle Repubbliche Marinare e di tanti soggetti economici e politici, è oggi “un mare di morte”.

Dopo la passerella di visite a Lampedusa assistiamo oggi ad una missione “militare-umanitaria” per arginare i flussi migratori. La retorica della sicurezza si sposa con la narrazione pietistica nei confronti delle vittime. Che tali non sono. Le persone che muoiono in mare hanno deciso di intraprendere il viaggio, spesso molti anni prima di salire sui barconi della morte. Barconi che non avrebbero motivo di esistere se non ci fosse la legislazione vigente.

Come tale non è la cosiddetta “emergenza umanitaria”, che vede da 30 anni un flusso continuo di profughi in fuga dai regimi militari e dalle crisi alimentari del Corno d’Africa. E che si vuole affrontare con navi e aerei da guerra più adatti ai respingimenti che non all’accoglienza.

Basterebbe aprire canali legali di ingresso, partendo dall’abrogazione della legge Bossi-Fini, implementare i dettami costituzionali e i doveri di salvataggio ed accoglienza che derivano dal diritto internazionale e dal diritto dell’Unione Europea.

Ma forse questa situazione fa comodo a qualcuno? Siamo bombardati da immagini e notizie di immigrati in mare. Ma cosa succede agli immigrati richiedenti asilo quando riescono a raggiungere le nostre coste? Quanto devono attendere per l’ottenimento dello status di rifugiato? E in che condizioni sono costretti a “vivere”? E come abbiamo fatto, noi italiani, a dimenticare il nostro non cosi lontano passato di emigranti?

Dovremmo forse discutere di tutto ciò per prendere coscienza della realtà che ci circonda, per superare la diffidenza e il dubbio sul se e come accogliere la gente disperata che raggiunge le nostre coste.

Aiutateci a diffondere “Niguri”, il documentario di Antonio Martino.

Sinossi

“Cosa succede agli immigrati richiedenti asilo tra l’arrivo a Lampedusa e l’ottenimento dello status di rifugiato? Il microcosmo di un piccolo villaggio calabrese, dove ha sede uno dei più grandi campi d’ accoglienza d’ Europa, riflette quello che succede nel macrocosmo dItalia: paura delle diversità, diffidenza e una totale assenza delle istituzioni.”

Guarda il documentario (e invita altre persone a guardarlo):

http://antoniomartino.net/portfolios/niguri-2/

Trailer

Ad oggi l’appello per l’apertura di un canale umanitario fino all’Europa per il diritto d’asilo europeo, proposto dal Progetto Melting Pot Europa ha raggiunto circa 20.000 firme.

Se ci mobilitiamo in massa aumentiamo le probabilità che le Istituzioni italiane ed europee si mettano immediatamente al lavoro per ripristinare l’idea di un’Europa basata sul riconoscimento dei diritti fondamentali, compresi quelli della persona migrante.

Firma la petizione

http://antoniomartino.net/portfolios/niguri-2/

Blog IT.A.CÀ
Sonia Bregoli 

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