La paura ingrandisce più dell’acqua

Nell’ambito del Festival delle migrazioni e delle genti – Promigré si è tenuto un incontro sui CIE – I Centri di Identificazione ed Espulsione, luoghi di privazione della libertà personale e di paura che violano legalità costituzionali e sono negazione dello spirito che sottende a ogni viaggio di vita.

Gli stranieri presenti in Italia alla fine del 2011 erano circa 5 milioni di cui 4,5 regolarmente residenti. Sul totale della popolazione essi rappresentano circa l’8%, ciò nonostante lo studio “L’impatto fiscale dell’immigrazione nel 2010” ha dimostrato come gli italiani percepiscano la presenza degli immigrati in un numero tre volte superiore a quello di coloro che risiedono in Italia realmente… La paura ingrandisce più dell’acqua, e fa molti più danni. Danni gravi e vergognosi come l’esistenza dei Centri di Identificazione ed Espulsione. Le ragion d’essere di queste strutture sono la prevenzione dell’irreperibilità di soggetti in situazione di irregolarità e l’esigenza di organizzare e trovare un trasporto che renda possibile il loro rimpatrio; peccato che questo venga realizzato privando soggetti non solo della loro libertà, ma anche della dignità che andrebbe riconosciuta a qualsiasi essere umano.

Nei CIE si dorme su gradoni di cemento con materassini e lenzuola di carta, ma soprattutto dentro al CIE si vive senza fare niente, senza sapere cosa sarà di te e cosa ne è stato dei tuoi cari. Non serve essere psichiatri per capire come sopravvivere in queste condizioni per lunghi periodi di tempo porti alla peggiore disperazione.

In Italia ci sono tredici CIE, alcuni di questi non sono operativi per via degli interventi di miglioramento resi necessari dalle campagne di denuncia, come l’iniziativa Lasciateci Entrare ; solo che il problema non è di far stare le persone qualche mese in meno in luoghi più puliti. I CIE dovrebbero proprio chiudere, tutti.

I “trattenuti” (perché detenuti non sono in quanto non vi sono sentenze in tal senso) vengono definiti “ospiti” dalle amministrazioni, anche se più che altro si tratta di “ostaggi”; ostaggi della fatalità e del libero arbitrio, che devono subire reclusioni senza sentenza fino a 18 mesi e che spesso, invece di essere rimpatriati, restano in Italia irregolarmente passando a nuove clandestinità e a permanenze in altri CIE. Queste strutture quindi, oltre a violare leggi e peggiorare il problema nel suo insieme, divengono un circuito perverso che si autoalimenta e peggiora progressivamente nel suo funzionamento.

L’inasprimento della permanenza obbligata da 12 a 18 mesi è stata tra le ultime modifiche apportate al sistema-CIE tuttora in vigore. I CIE non funzionano: più che rimpatriare e risolvere il problema (anche ammesso che sia quello il modo), lo nascondono. L’aumento del periodo di reclusione, in realtà è dovuto solo all’incapacità istituzionale di gestire il percorso di Identificazione ed Espulsione rallentato anche dalla burocrazia. È significativo che chi vorrebbe tornare viene trattato come gli altri e con tempistiche e condizioni indifferenziate, indipendentemente dalle violazioni anche gravissime che ha subito.

Perché nei CIE tutti vengono considerati allo stesso modo: come si trattasse di una raccolta indifferenziata di vite “rifiutate”. Indifferenziata, la raccolta, perché mette sullo stesso piano e gestisce allo stesso modo individui che hanno commesso crimini anche gravi, così come vittime della tratta, malati psichiatrici e perfino ex-detenuti, i quali vengono trattati come “non identificati” quando è impossibile che lo siano visto che sono già stati in detenzione.

Un paradosso quest’ultimo, un’anomalia che è solo una delle tante di queste strutture che nell’ultimo decennio hanno concretizzato la trasformazione delle politiche per l’immigrazione in politiche di sicurezza pubblica. Politiche finalizzate a rendere invisibile lo straniero invece che a risolvere la sua situazione, affrontando le tensioni che – tale situazione lasciata a se stessa – prima o poi necessariamente genera nel contesto ospitante.

Rendere invisibili gli immigrati, i rifugiati, le vittime della tratta, e tutti quelli considerati come rifiuti indifferenziati; questa l’unica cosa a cui servono i CIE: perché la paura ingrandisce più dell’acqua, e il consenso si genera nutrendola di falsità ed egoismo.

Fonti
Stuppini A. e Benvenuti V., 2011, “L’impatto fiscale dell’immigrazione nel 2010”, Regione Emilia Romagna e Fondazione Leone Moressa

Redazione Blog IT.A.CÀ
Manuel Finelli 

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